Grotta luminosa

Le risorse segrete.

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Ormai se ne parla quotidianamente, dalla mattina appena alzati alla sera prima della buonanotte. Di cosa? Ma naturalmente di Coronavirus o Covid-19, ovviamente. Ed è un male? Certamente no, è come parlare del traffico della mattina in auto, del maltempo in estate o dell’aumento dei prezzi al consumo…

Ma c’è di più, perché dire «parlarne» risulterebbe riduttivo: di Coronavirus o Covid-19 oltre a parlarne lo sentiamo vivere sulla nostra pelle. E’ vero che anche il traffico, o il maltempo, o i prezzi che aumentano gravano sulla nostra pelle, ma qui c’è qualcosa di nuovo. C’è ancora di più: ci hanno detto che ci sono nuove regole, nuove leggi, che dobbiamo rispettare. Non per limitare il traffico e neppure per permettere il calo dei prezzi (perché il tempo, si sa, non lo possiamo comandare…) ma per non ammalarsi e non ammalare.

C’è di nuovo che queste nove regole vanno rispettate perché:

  • non ci sono strumenti per debellare alla radice né curare gli ammalati;
  • pare che nei nostri nosocomi non ci siano tutte le strutture ricettive necessarie nell’evenienza di un considerevole numero di ammalati;
  • non conosciamo l’eziopatogenesi della malattia né le varie ipotesi prognostiche. In altre parole non sappiamo da dove viene il virus né se col passare del tempo potrà mutare in modo tale da rendere ancora più difficile la sintesi di una cura;
  • una pandemia incontrollata farebbe crollare drasticamente e forse in maniera irreversibile lo Stato di diritto.

Vogliamo accettare queste considerazioni? Ognuno è libero di farlo, in aderenza ai propri principi morali, etici, filosofici, psicologici, economici, politici, industriali, sociali… Qui mi verrebbe spontaneo finire la frase con un «ecc.» ma non l’ho fatto volontariamente, perché è forse quell’eccetera che ha creato così tanto clamore, oltre a un sano interesse medico.

In alcuni Stati esteri, Svezia tra tutti, la questione medica è rimasta indipendente da altre questioni, almeno questo è ciò che emerge da un’analisi superficiale. Chi ha più di una certa età sta a casa, gli altri stiano attenti a non ammalarsi, evitando anche contatti con coloro che hanno avuto l’obbligo di quarantena (se non sbaglio, quarantena obbligatoria per gli ultra settantenni).

In altre Nazioni si è proposto di iniettare il disinfettante in vena, ma qui siamo alla propaganda irriverente.

Quello che è chiaro, è che almeno qui da noi, una egregia platea di esperti di ogni tipo ha espresso la propria idea, spaziando a 360°, in ogni direzione. Questo ha dato, secondo me, una misura di quante possano essere le idee e le soluzioni di un problema, di quante strategie si possano adottare per raggiungere una meta. Ognuna di quelle dichiarazioni ha il mio rispetto e sono orgoglioso di vivere in un Paese in cui si ha libertà di espressione,

Anch’io dunque avrò la mia idea da dire, qui in questo suolo pubblico, ancorché virtuale? Forse.

Vorrei tornare a quell’eccetera che abbiamo lasciato in sospeso qualche riga fa. Mi ci soffermo perché con «eccetera» non diamo un senso compiuto a un discorso. E’ come affermare: «Questa cosa è composta da A, B, C, ecc.“. ma cosa sono questi altri elementi oltre all’A, B e C? Saranno mica cose sgradevoli? Sarà mica ‘H’ o, peggio, ‘Z’? Se la questione poi riguarda un’idea, è ancora peggio! «Io penso che le cose potrebbero andare così, cosà, cosò, ecc.“. Eccetera? Oh perbacco, chissà come potrebbero andare davvero le cose… e non ce lo vogliono dire!

Se non ho la capacità di avere l’ambizione di possedere una propria idea, e quindi andare a cercare le «verità» nelle idee degli altri e attendere che quelle idee magicamente possano cucirsi perfettamente intorno alla nostra personalità, può portarci alla ricerca spasmodica di quello’«eccetera» che se non soddisfacente, potrebbe inciuci a pensare che da qualche parte esiste, ma ce lo nascondono…

Sì, una cosa la vorrei dire, in questo suolo pubblico, ancorché virtuale. Cosa sarà di noi, dopo questa esperienza? Cosa rimarrà dentro di noi dopo che le regole di vita, temporaneamente, sono cambiate? Sento parlare di crisi economiche, sociali, personali. Sento parlare di «Non sarà più com’era prima“. Ci affrettiamo anche in questo caso, come un contadino che con una semplice canna dell’acqua in mano cerca di annaffiare ogni seme che ha appena finito di interrare, di prevedere tutto quello che potrebbe essere dopo: attenzione all’economia, alla salute, ai rapporti sociali, alle proprie abitudini, alle paure, alle opportunità…

In un clima come questo non possiamo prevedere come una persona, ovvero un individuo, potrà affrontare la vita quotidiana. Dovremmo stilare, in teoria, più di sette miliardi di ipotesi, una per ogni individuo. Ma la brutta notizia è che non si può. Non possiamo fare sette miliardi di previsioni, altrimenti cadremmo nell’eccetera, eccetera, eccetera…

Ogni persona è un individuo e ogni individuo è unico al mondo.

Ma cosa ha in comune ogni individuo? Su cosa potremmo lavorare, in maniera universale (senza il pericolo di lasciare da parte qualcuno), per stimolare la ripresa personale? Io ritengo che esistano delle caratteristiche che vanno al di là delle culture, religioni, forme di stato… Sono le capacità che scaturiscono dalle risorse proprie che ogni persona possiede. E non ci importa che siano una, un milione o sette miliardi, perché ogni capacità è buona e valida per ogni individuo.

L’importante è ricordarsi e, se possibile ricordare, che ognuno di noi può contare, senza eccetera, sulle proprie risorse.

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