Molto spesso abbiamo la tendenza a enfatizzare certi stati emotivi che interferiscono in maniera apparentemente negativa con la nostra vita quotidiana. Ci sentiamo vuoti, senza stimoli e inspiegabilmente privi di energia psicologica. Ad esempio non riusciamo ad uscire da un malessere emotivo, non troviamo la forza per toglierci dalla mente quel pensiero invadente, tutto intorno a noi è nero.
In casi come questi, siamo incatenati da un’energia che ci trattiene, che non ci fa vivere le giornate come facevamo prima di essere invasi da quello strano stato. È la tristezza, un’emozione che non vorremmo mai provare perché consideriamo come conseguenza di qualcosa che è andato storto, che non avremmo mai voluto e in molti casi che avevamo fatto di tutto per evitare.
Ma attenzione a non confonderla con la depressione!
Emozioni al lavoro.
La tristezza però è un’emozione di base: come la gioia, la rabbia, la sorpresa, il disgusto… rappresenta quella parte di noi, insieme al pensiero e al comportamento, che ci caratterizza, che fa di ognuno di noi un essere unico e irripetibile. È la nostra identità.
Il livello di persistenza di un’emozione su altre, rappresenta in un certo senso la prova che siamo diversi l’uno dall’altro: se una persona è felice, sprizza gioia da tutti i pori, pensiamo che abbia ricevuto una bella notizia oppure che abbia vinto un lauto premio; se un’altra persona invece la vediamo arrabbiata e accigliata, potremmo pensare che ha appena finito una furibonda lite oppure che ha perso l’ultimo treno del giorno; se un’altra infine la vediamo con la testa bassa e triste in volto, magari con qualche lacrima che le scende dagli occhi, potremmo pensare che ha ricevuto un brutto voto a scuola o che ha subìto una delusione. Ma il giorno dopo, probabilmente, queste persone potrebbero essersi dimenticate dei fatti del giorno precedente, oppure essersene fatte una ragione, e mostrare al mondo un altro aspetto di sé e delle proprie emozioni.
Tuttavia, proprio per l’unicità di queste persone, qualcuna potrebbe avere la “tendenza” ad essere particolarmente irascibile, oppure pessimista o solare. Ognuna di queste personalità è un’unicità: nessuna di queste è migliore dell’altra, queste “etichette” non servono per giudicare ma sono la testimonianza della variabilità dei tratti di personalità, che per loro natura non sono mai patologici ma assolutamente sani.
Quando la tristezza è troppa.
Tornando al tema della tristezza, c’è però un momento in cui potremmo scambiarla con qualcosa di più profondo, di irrecuperabile. Quando la tristezza diventa “cronica”, ovvero quando non troviamo alcuna spinta che ci toglie da quella “mattonella”, allora l’emozione che fino a quel momento era temporanea e figlia di particolari eventi negativi, diventa qualcosa di caratteristico non solo della propria personalità – quindi del modo di essere – ma va a invadere anche il nostro pensiero e i nostri comportamenti. Quando non riusciamo più a provare se non pessimismo e negatività in tutto ciò che ci circonda, quando anche un evento che ci avrebbe fatto sorridere non lo accogliamo, quando la rabbia non è più una risposta a un’ingiustizia ricevuta, allora quella tristezza, quel sentirsi giù, potrebbe aver assunto una caratteristica non più adattiva (ovvero che la sua presenza aiuta il nostro adattamento agli eventi) ma patologica.
La depressione allora potrebbe essere una risposta che la nostra mente mette in atto non solo per reagire ad un evento negativo, ma per “spiegare” in qualche modo a noi stessi che se ci capita di vivere momenti negativi il motivo è… che ce lo meritiamo. La depressione fa vedere tutto nero, la vita sembra brutta e inutile, gli altri non potranno mai fare niente per aiutarci, e ci rinchiudiamo in quella gabbia che pensiamo protettiva, che rappresenta il ritiro, la solitudine.
Esistono diverse tipologie di depressione:
- distimia (scarso appetito o iperfagia, insonnia o ipersonnia, bassa autostima, stanchezza);
- depressione maggiore (umore depresso per gran parte della giornata, scarso interesse per tutte le attività, diminuzione dell’appetito, insonnia, agitazione, perdita di energia);
- disturbo bipolare (cicli alterni di episodi maniacali – autostima eccessiva, ridotto bisogno di sonno, alta loquacità, iperattività – e depressivi).
È quindi nei casi rappresentati da questa classificazione che possiamo parlare di “disturbo“, ovvero di uno stato psicologico non sano che ha bisogno di essere valutato e curato.
Provare tristezza per un motivo che generalmente provoca tristezza della maggior parte delle persone (senza nulla togliere alle valutazioni soggettive e culturali) non è da confondersi con la depressione. Ma se questa tristezza, ancorché a ragione, diventa non più un’occasione per riflettere su fatti negativi bensì un nuovo “stile di vita”, allora è il momento di chiedere aiuto per riprendere in mano il controllo su di sé.