Come vi immaginate il rapporto tra la persona che si rivolge a uno Psicologo per una consulenza o un sostegno e lo Psicologo stesso? L’analista è seduto alle spalle del paziente sdraiato sul lettino; il terapeuta dispensa consigli e dà istruzioni precise su come risolvere il problema oppure lascia che sia l’utente a trovare la strada; quello che vuole incontrare tutta la famiglia e quello per cui il cliente è unico, accolto empaticamente e accettato incondizionatamente; quello che vuole sapere tutto della vostra infanzia e quello che del passato non interessa niente. E così via…
I vari approcci.
Ognuna di queste impostazioni, o setting, dà conto delle teorie sottostanti che sono il risultato di decenni di esperienza e studi, un po’ sul campo e un po’ nei laboratori scientifici e ognuna di esse ha la propria dignità e identità che la rende valida. Non sempre però chi si rivolge al terapeuta conosce queste molteplici caratteristiche e altrettanto raramente conosce a priori le modalità del percorso che intraprenderà il professionista da lui scelto. Sarà egli infatti che con la consueta cura e attenzione e dopo la necessaria valutazione e interpretazione del caso, illustrerà il percorso che intende affrontare col proprio paziente/cliente/utente.
Riuscire serenamente a richiedere un supporto psicologico a un professionista è un’opportunità che dovrebbe essere alla “portata emotiva” di chiunque ne sentisse il bisogno.
Non esiste a mio avviso un momento, uno stato, per cui si possa definire “obbligatoria” o “caldamente consigliata” la richiesta di aiuto di uno psicologo: questa dovrebbe scaturire dalla soggettività dell’individuo, ovvero dal fatto che una persona si senta più serena se chiede aiuto a un professionista della psiche. Se riusciamo a “sdoganare” questo principio, avremo meno timore di chiedere aiuto a uno psicologo: questo infatti rappresenterebbe un aiuto alla persona con l’obiettivo di aiutarla a superare un particolare momento di debolezza o di malessere non causati da situazioni di salute cagionevole, e non qualcuno che semplicemente “cura”.
Io sono io…
Il fatto che una persona senta il bisogno di accedere al sostegno di uno psicologo è già un grosso passo avanti verso il percorso di eliminazione del proprio malessere. Senza dubbio il professionista deve fare la sua parte: oltre all’adeguata preparazione ed esperienza, deve poter accogliere l’individuo e come tale considerarlo quale entità unica e irripetibile, per la quale non deve avere preconcetti né idee categorizzanti. Cosa significa? Che prima di tutto viene la persona i cui problemi esistenziali, emotivi, comportamentali, ecc. l’hanno portata a chiedere aiuto al professionista. Quindi nessuna diagnosi etichettata, nessuna categorizzazione in “casi già visti”, nessuna standardizzazione nel processo di cura.
Quando una persona si rivolge allo psicologo, l’ultima cosa che vorrebbe è quella di sentirsi “malata” o “strana”… E’ questa sensazione infatti che alimenta il detto “Se vai dallo psicologo sei matto!”.
…e la diagnosi me la faccio io.
Lo Psicologo ormai da tempo non lavora più solo nei casi particolari e gravi di psicosi (ovvero di situazioni psichiche che mettono in discussione l’equilibrio mentale della persona con relativa compromissione della corretta percezione della realtà). Purtroppo, grazie alla facilità con cui possiamo accedere a risorse scientifiche e divulgative in ambito Psicologico, molte persone arrivano a fare delle “auto-diagnosi”.
Questo è un altro problema che non aiuta la persona a superare il proprio malessere né la professionalità dello Psicologo: se per avere la propria diagnosi basta rispondere a qualche domanda di un test condiviso su qualche Social Network o fare “copia-incolla” di casi simili al nostro scovati in rete, perché spendere soldi dallo “strizza-cervelli”?
Molte nevrosi, come stati di estrema ansia, depressione, paure incondizionate, ecc. possono essere riconosciute già nei momenti di albore. Per questo possono, se ben controllate e riconosciute, non sfociare in stati invalidanti, come queste patologie possono avere in casi conclamati. Ecco che l’accesso immediato al professionista (psicologo o psicoterapeuta) può aiutare ad evitare il peggio.
L’aiuto al momento giusto.
Alla base c’è sempre lo stesso principio. Proprio perché non è “matto” né “psicotico” né “nevrotico”, l’individuo è in cerca di un aiuto nel momento stesso in cui si accorge di averne bisogno. La diagnosi corretta o anche solamente la sensazione di sentirsi accolto, compreso ed emotivamente accompagnato, rappresenta per la persona un buon inizio del percorso di miglioramento che lo psicologo può offrirgli: egli ascolta, interpreta, comprende, chiede chiarimenti, cerca di capire, fino ad arrivare a proporre un percorso condiviso verso il benessere.
Fonti.
- Mente & cervello, nr. 142, pag. 40 e segg.
- Monitor on Psychology, ottobre 2016, pag. 36 e segg.